Strada

Vittorio Adorni e CSAIn con rinnovata sinergia

Nel celebrare il cinquantesimo della brillante vittoria del mondiale di Vittorio Adorni, Luigi Fortuna, Presidente dell’Ente di Promozione Sportiva CSAIn, in virtù del consolidato rapporto di amicizia, ha inteso onorare la ricorrenza portando i saluti del mondo CSAIn.

Nel corso dell’incontro, tenuto a Parma, con il grande protagonista della storia del ciclismo italiano, campione del mondo su strada, vincitore del Giro d’Italia 1965 e di altri innumerevoli successi, oltre a rinnovare gli antichi e condivisi valori, è emersa nuova volontà di andare insieme verso odierni direzioni che possano offrire sempre più “alle due ruote”, più in generale ai numerosi soci ed associazioni CSAIn e, a chi “ama far bene”, l’opportunità per esprimersi secondo le proprie aspettative, garantendo qualità del tempo libero, nonché l’azione nel sociale attraverso l’attività sportiva, soprattutto “in sicurezza” e tutela della salute.

Altro argomento importante trattato, è stato lo stimolo a fare emergere le nuove generazioni, la formazione di nuovi quadri dirigenziali, ai quali trasmettere i sani principi della competizione, come da tradizione e valori di CSAIn, specie nel ciclismo che, con rinnovata energia, opera nella storica tradizione dell’Ente.

Di seguito si riporta l’intervista rilasciata da Adorni alla Redazione “TempoSport” organo di stampa CSAIn, rievocando il suo “68”.

Il mio ’68 comincia con un cambio di maglia. La Salamini, azienda di cucine, per la quale avevo corso l’anno prima, aveva avuto problemi finanziari e così aveva sciolto la squadra. Venne l’idea di fare una nuova squadra composta da corridori italiani e belgi. Una novità per quei tempi. La squadra sarebbe stata la Faema. Tra i corridori belgi c’era il giovane Eddy Merckx, che l’anno prima aveva vinto il mondiale di Heerlen, in Olanda. Io avevo 31 anni e non poca esperienza e vittorie alle spalle. Quell’anno facemmo il raduno pre-stagione in Calabria. Non ebbi timore a ricordare a Merckx che sì, lui aveva vinto il Mondiale, ma che la grandezza di un corridore si misurava con le vittorie nelle corse a tappe. Per un po’ mi guardò di traverso. Venuto il momento delle prime gare gli dissi: “Eddy, se vuoi, io ti aiuto a vincere la prima corsa a tappe, ma devi seguire i miei consigli”. Da lì, la consuetudine di Eddy a guardarmi prima di ogni azione, e io con un cenno del capo, “sì o no”, a bloccarlo o a dargli via libera. Non che fosse facile tutto ciò con un tipo come Merckx.

Ci mettemmo alla prova nel Giro di Sardegna. Pioveva, si arrivava a Nuoro. A certo punto si volta verso di me, io avevo capito lo sviluppo della corsa e feci sì con il capo. Lui partì, vinse la tappa e prese la maglia. La sera, brindisi al tavolo della cena, cercai, divertendomi, di ridimensionarlo “Eddy guarda che hai vinto, ma secondo è arrivato Armani, un tuo gregario, terzo io, quindi hai vinto perché ti abbiamo lasciato andare…”. Sapevo bene che non si sarebbe turbato più di tanto. Preparammo il Giro d’Italia in modo diverso. Lui vinse il giro di Romandia. Io scelsi la Tirreno-Adriatico dove però, dopo aver vinto la prima tappa, sono caduto e mi sono rotto il tendine dell’indice della mano sinistra. Vicissitudini a parte ci siamo ritrovati alla partenza del Giro d’Italia. Gli dissi subito: “Eddy tu vieni in camera con me…”. Tentò una debole reazione senza esito. Ed in camera si presentò con tre valigioni. “Amico mio, con quelle valigie si fa un viaggio in Africa. Qui, una basta ed avanza”. Così cominciò l’avventura.

Per essere chiari, ad un chilometro dall’arrivo della prima tappa, a Novara, lui autonomamente decide di scattare e va a vincere tappa e maglia rosa. “Eddy, ora cosa facciamo andiamo dietro a tutti, ogni giorno? Ora ti calmi. Dobbiamo cedere la maglia. Il momento giusto verrà”. Nei giorni a seguire lasciammo andare via una fuga e cedemmo la maglia rosa. Il giorno giusto si presentò nella tappa delle Tre cime di Lavaredo. Eddy seguì alla lettera i cenni della mia testa che lo guidarono nel suo duello con Gimondi. Fu bello per entrambi. In vista del lago di Misurina, sul Passo delle Tre Croci, gli diedi una paca sulla spalla. “Ora vai!”. Vinse tappa e Giro. Ancora oggi lui ricorda e racconta a tutti di quel giorno.

fatto che io in pratica fossi il mentore di Merckx mi creò dei problemi in vista del Mondiale del 1° settembre a Imola. Era forte il chiacchiericcio che invitava il ct Mario Ricci a lasciarmi fuori della squadra nazionale che racchiudeva il meglio italiano del momento: Gimondi, Bitossi, Dancelli, Motta, Balmamion o Taccone… In sede di pronostico tutti pensavano che sarebbe stato un duello Gimondi-Merckx. Io, per alcuni non ero affidabile. Ma il destino è il destino. Pochi giorni prima della gara vinsi la Coppa Placci e così fu impossibile non mettermi in squadra.

Il percorso del Mondiale di Imola era in circuito. Dopo due giri vanno via una ventina di corridori, tra questi Gimondi e Merckx. Mi accorsi che nel gruppetto in fuga non c’era nemmeno un francese. Allora dissi ad Anquetil: “Jaques, ma ti va bene così?” E lui “Ma va, che ti frega…lascia che vadano”. Pochi minuti dopo arrivò il dt francese e diede la sveglia ai suoi. Gimondi e Merckx vennero ripresi. A quel punto mi misi in testa al gruppo per vedere meglio la situazione. Sulla destra vidi il belga Van Looy e con un cenno del capo gli chiesi “che facciamo…andiamo?”. Mi sembrava un buon momento per sfruttare la rivalità interna tra il vecchio campione ed il giovane campione belga. Van Looy partì ed io dietro. Tirò a tutta per mezzo giro e così ci trovammo insieme in fuga. Il dialogo fu “Rik, ma mancano 230 km all’arrivo…” e lui “Hai paura di morire?”. “Rik, paura di morire no, ma…”. “Allora, se non hai paura di morire… andiamo”. E siamo andati.

Poi a 90 km dal traguardo ho cominciato a pensare che se fossimo arrivati alla fine in volata mi avrebbe battuto facile. Allora decisi di lasciare la compagnia. Tatticamente andava bene anche per la squadra italiana. Dovevano essere gli altri a lavorare. Mancava molto al traguardo, ma valeva la pena rischiare. La sera prima della corsa, con tutti a tavola, si era parlato del possibile sviluppo della corsa. Tutti davano per scontato il duello Gimondi-Merkx. Alla fine, Ricci mi disse “Vittorio, tu sei il più vecchio, vedi di gestire la corsa, fai il Capitano”. Beh, lo feci cosi bene che ho vinto e con quasi dieci minuti di vantaggio. Fu una follia a lieto fine. Impensabile oggi. Ma il destino era dalla mia parte. Si pensi che a due giri dalla fine forai. Invece dell’ammiraglia arrivo una camionetta di militari con sopra un meccanico e la mia bicicletta di scorta. “Ma dove l’ammiraglia?”. Chiesi stupito. “Ha finito la benzina ed è uscita dal circuito a fare rifornimento”. Potenza del destino.

Il momento dell’arrivo è il fotogramma che ancora oggi, ottantunenne e a cinquanta anni di distanza, mi emoziona ancora: la pista larga dell’autodromo, la gente tutta intorno, senza transenne, che mi applaudiva ed io che mi metto le mani in faccia e poi apro le braccia prendendo il Mondo. Come si fa a dimenticare un momento così? Campione del Mondo. Il giorno dopo ero già a Milano a riprendere il mio ruolo in televisione al fianco di Liana Orfei nel programma “Ciao mamma”. Di quel programma si fecero quattordici puntate. Alcune registrate prima del Mondiale. Le altre dopo. E in quella puntata si celebrò il mio Mondiale, ovviamente con Liana Orfei, con Ercole Baldini che era stato l’ultimo italiano a vestire la maglia iridata e Alberto Lupo che nel periodo pre-mondiale mi aveva sostituto.

Si può dimenticare un 1968 cosi?

 

 

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