Paganica – Domenica scorsa dopo aver vinto la prova femminile della Mediofondo Tarros Montura, Chiara Ciuffini, aquilana di Paganica, ha dedicato la vittoria a quella che considera la sua città, emozionando il numeroso pubblico presente. Non riesce a nascondere la sua emozione Chiara, mentre parla della straordinaria terra ferita dal tremendo sisma del 2009, i suoi occhi, già rossi per lo sforzo compito, si riempono di lacrime.
Lacrime che non scendono, a testimoniare il carattere forte di Chiara e di tutti coloro che hanno vissuto in prima persona la tremenda scossa che alle ore 3,32 del 6 aprile 2009 cancellò interi paesi e la vita di 309 persone.
“Tre settimane prima di quella notte, che ha segnato per sempre la mia vita e quella dei miei conterranei – ricorda Chiara Ciuffini – avevo iniziato a pedalare dopo una brutta frattura ad un malleolo, che mi aveva tenuta a lungo lontana dall’attività fisica. Mi stavo concentrando sulla mia lenta e progressiva ripresa. Le uscite in bicicletta rappresentavano anche l’occasione ideale per distogliere il pensiero dal lungo sciame sismico che era iniziato a dicembre 2018. Il terreno che trema, la casa che si muove per effetto della forza del movimento tellurico erano ormai diventate eventi di vita quotidiana. Molti di noi si sentivano invincibili. Del resto nei comuni della conca aquilana vivevano soprattutto persone che hanno trascorso la loro vita lavorando duramente nei campi, vivendo di agricoltura e pastorizia, molto legati a questa terra, alla loro casa. Ma soprattutto abituati ad affrontare e superare ogni difficoltà incontrata nel lungo cammino della vita.
Le scosse aumentano d’intensità e frequenza, ma qualche minuto dopo si torna nuovamente alla vita di tutti i giorni. Quella notte del 6 aprile non è stato più così. Alle 22,50 del giorno precedente, avverto la prima forte scosse seguita da altre minori – continua Chiara – quella sera, almeno per me, qualcosa stava cambiando. Il terremoto a cui ormai mi ero abituata si trasforma in poche ore in un evento che minaccia la vita. Andai a letto turbata e impaurita. Sotto le coperte, faticavo a prendere sonno e cercavo di eludere la paura pensando all’uscita in bicicletta che avrei dovuto fare il giorno seguente.
A mezzanotte si avverte un’altra tremenda scossa. Io dormivo non l’ho sentita, mentre molte persone sopraffatte dalla paura hanno lasciato le proprie abitazioni trasferendosi nelle auto, all’aperto. Alle 3.32 l’incubo si trasforma in realtà.
Ho avvertito un boato impressionante, che non riesco a spiegare. Ricordo il rumore e le pareti che si deformano. Saltai giù dal letto, ma il pavimento sobbalzava e faticavo a stare in piedi. Cercavo la porta della camera da letto per uscire, senza luce, al buio. La maniglia della porta mi sfuggiva dalle mani. Sentivo le urla dei miei genitori. Il panico era totale, ricordo la corsa verso l’esterno della casa, scalza e in pigiama. Ho calpestato i suppellettili caduti in terra con il rischio di ferirmi seriamente, ma come si può ben capire la paura era più forte di qualsiasi altra cosa. Per la disperazione ricordo di aver abbattuto una porta che non si apriva perché bloccata dai detriti caduti. Una volta fuori ho abbracciato i miei familiari e ringraziato Dio. Eravamo tutti salvi”.
La soddisfazione per lo scampato pericolo lascia presto spazio all’angoscia. “Intorno a noi soltanto il buio – continua a ricordare Chiara Ciuffini – le tenebre nascondevano morte e distruzione. Noi vivevamo e tutt’ora viviamo a Paganica, a poche centinaia di metri dal cui centro sorge il paese di mio padre, Tempera, che è stato raso al suolo. Tra angoscia e paura saliamo in auto e ci dirigiamo verso un centro di raccolta. Da quel momento è iniziata la ricerca di un minimo di normalità che sarebbe arrivata soltanto dopo molti mesi. Ricordo le notti trascorse in auto e durante il giorno, il senso di impotenza. Potevamo soltanto vivere passivamente gli eventi che seguivano il sisma. Poi l’assegnazione delle prime tende, in cui si dormiva in 10 – 12 persone, per arrivare alle tende consegnate alle sole famiglie all’interno delle quali recuperare parte di quella privacy che è stata cancellata dal terremoto. La tenda, i volontari della protezione civile, i luoghi comuni dove ci si riuniva per consumare i pasti e vivere le ore diurne, lo straordinario lavoro dei soccorritori questa è stata per diversi mesi la quotidianità di un popolo che non ha mai perso la dignità”.
Sono trascorsi dieci anni dal quel 6 aprile 2019: “La storia della mia rinascita è legata anche al ciclismo. Le giornate passate in bicicletta mi permettevano, anche se per poche ore, di sganciarmi da quella realtà che ha ferito la mia terra, la mia famiglia. Dopo dieci anni si pedala ancora tra case demolite e macerie, i segni del tremendo sisma sono visibili in ogni parte della conca aquilana. A chi si meraviglia del fatto che siano passati dieci anni e ancora siam messi cosi, dico semplicemente venite a vedere cosa è realmente accaduto e capirete che per raggiungere la normalità, in questa terra, forse ci vorranno ancora 10-20 anni”.