La settimana della Parigi-Roubaix ha rinsaldato alcune considerazioni emerse già nei giorni precedenti. La prima riguarda il ritrovato vigore della Ineos Grenadiers, che chiuse la prima parte del periodo delle classiche, coincidente con le prove fiamminghe, con un bilancio trionfale, mai così positivo nella lunga storia del team britannico. Al di là delle valutazioni tecniche, culminate con lo straordinario assolo di Dylan Van Baarle a Roubaix, probabilmente la principale ragione della serie di vittorie del team (Kwiatkowski all’Amstel, Martinez al Paesi Baschi e altro) sta nel rinnovato spirito scaturito dal terribile incidente occorso a Bernal a gennaio, che ha costretto i vertici a rivedere tutti i programmi e gli equilibri all’interno della squadra, ma anche le priorità. Non sono mancati i problemi (basti guardare ai guai fisici occorsi a Ganna e Moscon, che puntavano proprio alle classiche) ma tutto ciò ha spinto i corridori a dare sempre quel qualcosa in più che ha portato a vittorie in serie.
Vedere la Ineos trionfare nelle classiche non è cosa frequente considerando che questo era il regno della Quick Step Alpha Vynil, che esce con le ossa rotte dal periodo sul quale puntava di più. Ora ci si affida all’iridato Alaphilippe nelle corse a lui più care, Freccia e Liegi, ma resta il fatto che il bilancio sia fortemente in rosso. Anche per loro tanti problemi fisici, ma l’impressione è che sia venuta improvvisamente a mancare una vera guida in corsa, il corridore che si ergeva a capitano e che pilotava la squadra. Alla Roubaix c’erano in pratica 6 corridori su 7 tutti deputati a cercare la vittoria e questo alla fine ha generato solo molta confusione.
Van Baarle, il vincitore della Roubaix, è un corridore più che degno, già secondo al Fiandre, il vero corridore da classiche, che sa come correre questo particolare tipo di eventi e soprattutto prepararli. Medagliato anche agli ultimi Mondiali, Van Baarle potrebbe rivelarsi un elemento molto utile per la causa Ineos nel Tour, dove presumibilmente la squadra punterà sul giovane Martinez, colombiano che ha mostrato di saper correre le gare a tappe (un Delfinato e un Paesi Baschi nel suo carniere) ma che ancora non ha fatto vedere il suo potenziale di classifica in un grande giro, avendo sempre corso per gli altri.
Accennavamo prima a Ganna: l’olipionico aveva mostrato alla Roubaix di essere davvero in palla, avere forse anche qualcosa in più dei favoriti Van Aret e Van Der Poel, ma quando ha forato si è capito che la squadra non puntava su di lui. Il problema del ciclismo italiano attuale è anche questo: non ci sono team che siano disposti a investire strategie su di loro, a vederli leader incondizionati e se non hai una squadra con una forte connotazione nazionale alle tue spalle, questo difficilmente avverrà. In un contesto tecnico ben diverso come il Giro di Sicilia questo si è ben capito: la Nazionale costruita da Bennati ha corso intorno a Damiano Caruso portandolo alla vittoria, ma la Bahrain che potrebbe puntare su di lui e la sua forma invidiabile per il Giro, è decisa a sfruttarlo al Tour in appoggio a Landa. Così non andremo lontano…
Credit: CicloZeman