La Granfondo Città di Porto Sant’Elpidio è la grande festa di Pasquetta: appuntamento a lunedì 17 aprile nella città elpidiense per un evento capace di creare sinergie e la forza di fare squadra tra gli organizzatori della Gio.Ca. Communications e il Comitato Promotore del Grande Ciclismo a Porto Sant’Elpidio, oltre alle istituzioni, in primis il comune di Porto Sant’Elpidio.
Alla Granfondo non c’è solo il lato sportivo ed agonistico garantito dalla bellezza del percorso di 134 chilometri che abbraccia il mare, l’entroterra fermano e piceno, ma anche un lungomare chiuso al traffico per lasciare spazio alla festa dei partecipanti e delle famiglie per trascorrere un lunedì di Pasqua davvero speciale.
Il pranzo di Pasquetta sarà veramente da leccarsi i baffi e sarà ospitato nell’ampio spazio verde dell’ex stadio Orfeo Serafini per gustare i prodotti del gold sponsor Giorgio Mare (lasagne al sugo di pesce, calamari fritti, vino acqua e dolce gratis per tutti i partecipanti e al costo di 10 euro per gli accompagnatori) in collaborazione con Righetto Catering.
IL TERRITORIO DELLA GRANFONDO: ECCO SERVIGLIANO, BELMONTE PICENO E MONTOTTONE
Abitata in epoca molto antica dai piceni, Servigliano appartenne in età romana a un membro della stirpe dei Servili. Intorno all’anno mille un gruppo di famiglie eresse, sulla cima di un colle, un castello alle dipendenze di Fermo; la fortificazione, che costituì il primo nucleo dell’abitato, si ritrovò spesso in conflitto con l’abbazia di Farfa. Inglobata successivamente nello Stato Pontificio, nella seconda metà del Settecento venne ricostruita, su autorizzazione di papa Clemente XIV e progetto di Virginio Bracci, su un terreno pianeggiante detto Fiera del Piano, a causa delle infiltrazioni e degli smottamenti del terreno che ne minacciavano la stabilità –la ricostruzione iniziò nel 1773 e terminò durante il pontificato di Pio VI–. Denominata in passato Castel Clementino, assunse nel 1861 l’attuale toponimo, coincidente con quello dell’insediamento medievale e derivante dal personale latino SERVILIUS, con l’aggiunta del suffisso –ANUS. La settecentesca struttura urbanistica del centro storico è quadrangolare e compatta, con tre porte d’ingresso e con le case poste a schiera –al centro quelle gentilizie, contro le mura quelle popolari–. A testimonianza delle fasi più antiche della storia del territorio sono stati rinvenuti i resti di una villa romana nei pressi dell’ex convento dei frati minori osservanti; quest’ultimo ospita l’antica chiesa di Santa Maria del Piano, che custodisce affreschi e sculture risalenti ai secoli XV e XVI.
Sorto nel Medioevo in un territorio abitato sin dalla remota antichità, Belmonte Piceno ospitò uno stanziamento piceno di grande importanza, come dimostrano i resti di una necropoli risalente al VII secolo a.C.; più tardi i romani vi dedussero una colonia, sulle cui rovine i monaci farfensi costruirono una chiesa con torrione. A causa della sua posizione, il borgo rivestì una grande importanza strategica tra Medioevo e Rinascimento e più volte diede asilo a milizie mercenarie comandate da capitani di ventura. Il toponimo, privo di specificazione fino al 1863, allude chiaramente alla posizione arroccata del borgo. I caratteristici resti archeologici detti “morrecini” –pietre usate come monumenti funebri dagli abitanti della colonia romana, che vi appoggiavano le anfore contenenti le ceneri dei defunti– rappresentano, con la necropoli picena, una significativa testimonianza del passato remoto di questi luoghi. La chiesa di San Salvatore custodisce una Pietà quattrocentesca in legno e preziose reliquie: nel cosiddetto “tabernacolo della Croce” è conservato un pezzo di legno tradizionalmente considerato parte della croce a cui Cristo fu inchiodato sul Golgota. Di notevole interesse sono inoltre la slanciata facciata romanica della piccola chiesa di San Simone, ricavata da una torre di vedetta medievale, e la chiesa di Santa Maria delle Grazie, che custodisce un pregevole affresco anonimo risalente al 1546.
Culla di un fiorente artigianato specializzato nella produzione di terrecotte e ceramiche nonché di oggetti in rame e ferro battuto, Montottone prosperò nel Medioevo sotto la sfera d’influenza farfense. Attaccata da saraceni e normanni, riuscì a contrastare i loro assalti per merito delle solide fortificazioni erette nel X secolo dal duca di Atri Attone, cui si deve anche la costruzione del castello. Passò successivamente sotto la giurisdizione della chiesa fermana e, da questa, al comune di Fermo; poco più di trent’anni dopo fu occupata dalle truppe di Francesco Sforza. Dal 1536 al 1545 ospitò il governatore apostolico. Tornata nuovamente in mano ai fermani (1575), fu annessa allo Stato Pontificio nel 1606. Negli ultimi anni del Settecento subì l’invasione francese. Il toponimo sembra essere un composto del termine “monte” e del nome di persona OTTO, OTTONIS, di origine germanica o longobarda; la tradizione lo collega invece ad Attone, titolare del feudo prima dell’anno mille. Gli edifici religiosi custodiscono gran parte del patrimonio artistico locale. Al di fuori delle mura si trova la chiesa seicentesca della Madonna delle Grazie, edificata in stile rinascimentale e contenente dipinti di pregio. La grande chiesa di Santa Maria, dalla facciata diroccata, presenta un portale lavorato in cotto, risalente al 1515; l’interno invece è stato completamente restaurato nel XIX secolo dall’architetto Sacconi. L’odierna Comunità Aurora, un tempo sede dei frati minori conventuali, ingloba il chiostro e la chiesa di San Francesco, con portale romanico-gotico, e custodisce cornici dorate settecentesche e un dipinto di Pietro da Rimini dedicato al Santo.
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