Granfondo per tutti: la proposta rivoluzionaria della Gimondi

Aprire gli eventi di massa agli agonisti è il cambiamento radicale richiesto dai principali organizzatori: Giuseppe Manenti pone le basi per avviare il progetto in vista del 2022

L’orizzonte è delineato: perduta giocoforza l’edizione 2020, la Granfondo Gimondi Bianchi è già pronta per maggio del prossimo anno a Bergamo, con 2700 partecipanti abili e arruolati e chissà quanti ancora che verranno. Saranno numeri importanti, al solito, ma la macchina organizzativa è già al lavoro per predisporre tutto al meglio, come e più di sempre.

Sicurezza è la parola chiave di questo appuntamento: a Giuseppe Manenti, da 25 anni il tenore silenzioso dell’evento, pochi possono insegnare qualcosa sull’argomento. Dopo la bufera Covid, sicurezza significa molti accorgimenti sanitari ma continua anche a significare possibilità di pedalare in piena tranquillità sulle strade. In questo senso la “Gimondi” fa scuola con uno spiegamento di mezzi e di uomini – appostati e in movimento – degno di una grande classica per professionisti. Sicurezza dev’essere e sicurezza sarà, a 360 gradi.

COME LA MARATONA DI NEW YORK E LA VASALOPPET

Nel frattempo l’orizzonte personale di Manenti è spostato molto più in là. I lunghi mesi di lockdown gli hanno dato l’opportunità per riflettere e convincersi che il tempo della svolta è arrivato. “Ci siamo confrontati con gli altri organizzatori delle maggiori granfondo italiane, Maratona delle DolomitiNove ColliSportful e via andare. Siamo tutti persuasi che è tempo di costruire un grande dibattito con la Federciclismo. Il tema: aprire gli eventi di massa agli agonisti di tutte le categorie. Come tutte le maratone nell’atletica, da New York a Boston e le altre major. Come la Marcialonga o la Vasaloppet nello sci nordico”.

Il tema non è nuovo ma la sollecitazione è forte: “Personalmente sono un sostenitore di questa svolta da almeno vent’anni – spiega Manenti – ma ora i tempi sono maturi, viste le conseguenze post-Coronavirus e come stanno cambiando abitudini e stili di vita. Le Granfondo sono ad un bivio: chi pensa di eliminare le classifiche e dunque l’agonismo rischia di distruggere questi appuntamenti. È un atteggiamento antistorico: ma come, si moltiplicano gli eventi virtuali, oggi da casa puoi fare il Fiandre, le tappe del Giro e del Tour, e qui pensiamo di mandare tutti a passeggio? L’agonismo è insito in ogni persona che va in bici a certi livelli, allenandosi con impegno e continuità. La sfida e il confronto sono il sale della vita, non solo delle corse, purché si giochi nel rispetto delle regole. Dunque, di cosa stiamo parlando?

Giuseppe Manenti

Giuseppe Manenti, ex azzurro e olimpionico, da 25 anni organizza la Gran Fondo Internazionale Gimondi Bianchi (Credits: Marco Quaranta). Clicca sulle immagini per scaricarle. Utilizzo gratuito con menzione dei credits.

PIÙ OPPORTUNITÀ PER TUTTI: NELLA MTB È GIÀ POSSIBILE

Manenti, ex ottimo passista e azzurro olimpionico prima di diventare organizzatore, è uomo di poche parole ma quando parla… “Guardiamo in faccia la realtà, faccio un esempio: trent’anni fa a Bergamo c’erano gare juniores a profusione ogni weekend… ora se ne svolgono al massimo otto all’anno. I giovani hanno bisogno di nuove opportunità per emergere: molte gare agonistiche, anche a livelli maggiori, arrancano, hanno bisogno di linfa nuova. Noi proponiamo una soluzione win-win: più opportunità per gli agonisti, che ne beneficiano economicamente e in visibilità. Più risorse per gli organizzatori. Già si fa nella MTB, perché non nella strada?”.

Troppo spesso, in effetti, le gare di massa diventano il cimitero degli elefanti, ex professionisti che trovano nelle granfondo nuovi spazi e opportunità economiche per continuare a fare il ciclista di mestiere senza averne più lo status. “Ecco perché aprire a tutti: le granfondo avranno un vincitore assoluto e poi graduatorie per età, come già avviene nelle maggiori maratone. Le griglie di partenza consentiranno comunque di proteggere la regolarità di gara tra partecipanti di diverso livello. In questo modo gli atleti agonisti avranno più opportunità di gareggiare, penso alle donne che in Italia hanno un calendario residuale. E ancora, restituiamo a chi va in bici il gusto dello sport individuale: qui abbiamo tutto quello che serve per una corsa vera, strade chiuse, varchi protetti, assistenza neutra, servizi medici. Abbiamo i controlli antidoping e possiamo incrementarli. C’è molto da guadagnare: un salvavita per un ciclismo che altrimenti faticherà a sostentarsi”.

IL MOMENTO GIUSTO PER CAMBIARE: INVITO AD UN CONFRONTO

Il sasso è lanciato: ora sta alla Federazione dare un segnale di apertura al dialogo. “Se cominciamo a lavorarci ora, nel 2022 si può partire, almeno con le manifestazioni più grandi e affermate, basta volerlo – aggiunge Manenti -. Né credo questo tema possa diventare uno strumento di contrapposizione, visto che i rinnovi elettorali sono alle porte: chi vuole il bene del ciclismo deve prendere in esame il progetto. Siamo disponibili ad organizzare subito un confronto serio e costruttivo in videoconferenza coinvolgendo gli attori più importanti e le voci di chi è in prima linea: il settore tecnico della FCI, i direttori sportivi e gli atleti. L’importante è avere un atteggiamento positivo e costruttivo, la soluzione c’è e può fare solo del bene: anche ai tanti corridori professionisti a cui la squadra può consentire di gareggiare come individuali quando non utilizzati nelle prove del calendario internazionale”.

Manenti conclude: “Dobbiamo tornare a ragionare come sistema-ciclismo, e non per corporazioni. Le difficoltà ci sono, è evidente, e crescono ogni giorno: le nuove regolamentazioni adottate per lo svolgimento delle gare pongono condizioni problematiche per uno sport che si pratica in mezzo alle strade e non in uno stadio. Tutte le posizioni e i punti di vista sono rispettabili ma è tempo di trovare una sintesi efficace perché il nostro mondo resti in equilibrio. La bicicletta commercialmente parlando non ha mai vissuto un periodo più radioso di quello attuale: Il mondo è cambiato e noi non possiamo pensare di rimanere fermi alla preistoria. In caso contrario, ci faremo del male da soli”.