Valdobbiadene – La si fa sempre facile a parlar del tempo. Mica sono le ventiquattro ore e spiccioli che ci vogliono far credere. È tutto un po’ più complesso, o almeno un po’ più variegato. Sicuramente variabile. Soprattutto in queste zone, in questo arco di colline che ambiscono a farsi Prealpi facendo ciao ciao alla pianura, ma che non hanno avuto la forza di esserlo. Le alture che uniscono Conegliano a Valdobbiadene però non si sono commiserate, al massimo compiaciute, ma è storia recente che quelli che usano le parole giuste, chiamano gentrificazione.
Mica era così un tempo. Già, il tempo. Per secoli era solare: si iniziava a sgobbare quando sorgeva il sole, si finiva quando calava. E se non era per la fatica, ci si lamentava per la fame. Le ore erano schiocchi di campane in lontananza che rimbombavano sulla terra. Schiocchi che divennero trilli, campanelle che segnavano inizio, fine e intervalli, quando il tempo divenne antisolare e le fabbriche presero il posto dei campi. La fatica era però uguale, la fame calmierata.
Non la sete, quella è rimasta uguale sempre. A cambiare è stato il vino, che si è ingentilito, imbellettato, raffinato. E pure i bicchieri, che da tozzi e spessi che erano si sono allungati, assottigliati, aggraziati. Poi espansi, fino a cadenzare le giornate. Una nuova dimensione temporale, il tempo di un goto, di un Prosecco, di uno spriss, nuova merce di scambio per le fughe dal lavoro.
È nel bere, o forse nel far bere, che queste colline hanno ritrovato vita, hanno ripreso a essere percorse, dopo aver rischiato di essere dimenticate. Si sono ripopolate di facce. Quelle comuni, di tutti i giorni, e quelle transitorie, molto spesso pedalanti, perché tra SUV e macchinoni quanto meno i veneti non hanno dimenticato le biciclette. E amen se molte volte devono costare come un macchinone per essere accettate in gruppo. “Parché nea vida ghe ne ‘e regole e ghe ne ‘e stronsade. E molte volte no se capise a diferensa”, almeno per Bepo, che queste colline le conosce da sempre e meglio delle colline le osterie. “Anca al ber gà ‘e so regoe. Le tuta una question de ritmo: un goto ogni mesa ora e in meso do de aqua. Ma sol parché son vecio e il vin si no me dà a testa”.
Perché il tempo non è altro che una questione di ritmo. Lo sanno bene Richard Carapaz, Miguel Ángel López, Davide Formolo e Romain Bardet, che non l’hanno mai trovato nella seconda cronometro del Giro d’Italia. Lo sa bene Chris Froome che l’ha trovato in ritardo. Lo sa bene Tom Dumoulin che nei primi sei chilometri l’aveva trovato. Una cadenza armoniosa, soprattutto veloce. Talmente veloce da diventare sfuggente mentre la strada saliva verso la sommità del muro di Ca’ del Poggio. Che mica si chiamava così prima: Rivon dei pascoli. Ma col cambiamento del prosecco s’è ingentilita pure la toponomastica.
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