Emanuele Esaia racconta la sesta tappa del Senzagiro

Villafranca Tirrena – Da Catania a Villafranca Tirrena: una tappa di trasferimento, dopo la scalata dell’Etna di ieri.

Si parte dalla terra delle nere pendici laviche, dure sia alla vista sia al tatto, che di tanto in tanto servono da scivolo per colate di fuoco, anticipate da qualche petardo di avvertimento per gli abitanti del circondario. Spesso non fanno danno, solo fumo e cenere.

Bisogna sapere che l’Èttina è un tipo incazzusu, che trattiene il fiato per anni e poi esplode, guardando tutti dall’alto verso il basso, forte della sua taglia: un peso massimo, tra i vulcani d’Europa. 

Nei giorni di sole, il gigante di pietra nera sembra scrutare l’orizzonte, a oltre cento chilometri di distanza. E lo fa col tipico sospetto siculo, in silenzio. È probabile che stamattina, con tono diffidente, con una punta di insofferenza verso la carovana del Giro, si sia rivolto ai fratelli più piccoli che stanno nelle Eolie, a Stromboli e Vulcano, per chiedere: «Ma angora assai hann’ a sdari gà?» (si fermano ancora a lungo?).

La risposta dei parenti, più avvezzi a un turismo estivo rumoroso, a gente che proviene da ogni parte del mondo, sarà stata qualcosa del tipo: «Cumpari, tranquillu! L’uttimu ionnu è, dumani si ni vannu nte Calabri» (domani se ne vanno in Calabria).

Ed è un peccato, perché «l’Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto». Lo ha scritto, due secoli fa, Johann Wolfgang Goethe: uno che di “grandi Giri” se ne intendeva parecchio.

Oggi, alla partenza, la temperatura è nella norma: 30° C, con irradiazione solare più vicina all’Africa che all’Europa continentale. Roba che fa squagliare il gelato in mano, se non ti sbrighi a mangiarlo, perdendoti in chiacchiere. 

Molti big di classifica tirano un sospiro di sollievo: pochi gli assalti amichevoli degli appassionati. A spopolare sono i nativi: i fratelli Nibali, Caruso (che in verità è nato a Torino, ma va bene lo stesso) e Visconti. Non mancano i sostenitori di Dumoulin, che da questa parti piace.

Salutata Catania, il gruppo si sposta verso l’entroterra.
Oggi andare in avanscoperta, a prendere vento in faccia, sarà relativamente facile.

Meglio di tutti lo capiscono in cinque: Giovanni Visconti, Nicola Conci, Miguel Florez, Mirco Maestri ed Hector Carretero. Aprono le danze e se ne vanno, da soli, ad affrontare i falsipiani della valle dell’Alcantara. Il loro destino è già scritto. E lo sanno. 

Poi, a Francavilla di Sicilia, arriva l’unica vera salita di giornata. Non fa paura. Sono 16 km pedalabili, pendenza media del 4,5%. È il sole il nemico, oggi. Non c’è un metro d’ombra, fino a quota 800 m, verso Mandrazzi. Una borraccia la bevi, l’altra te la butti addosso per levare il sale dalla faccia e dalle braccia. La gente è ovunque, a bordo strada. 

Florez e Carretero scalpitano, provano un allungo, cercano di levarsi di dosso il veterano Visconti, che conosce ogni metro di questa strada.

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