Porto S. Elpidio – L’undicesima tappa sembrava già scritta. Una tranquilla risalita verso nord, con una volata finale. In apparenza il percorso non lascia spazio alla fantasia: i 181 km coincidono per la maggior parte con la Statale 16, lungo quel territorio stretto tra il mare e le colline che negli anni ‘90 del secolo scorso gli urbanisti chiamavano la “Città adriatica”. Una sequenza continua di case, capannoni, centri commerciali, lidi, porti, che uniscono i centri storici costieri. Un paesaggio che sembra anticipare la Romagna, ma in realtà è un’altra cosa, con quei crinali sullo sfondo e le valli che scendono sulla costa sabbiosa.
Si comincia piano. Anche i fuggitivi abituali sembrano svogliati oggi. Sarà la vista del mare a distrarre i ciclisti oppure l’attesa dei nove colli di domani. I primi 100 km scorrono ad andatura regolare, pilotata dalle squadre dei velocisti. Porto Recanati, Falconara, Senigallia – dove un pensiero va a Gianni Mura, scomparso qui solo due mesi fa – Fano, vengono attraversate sotto lo sguardo di un pubblico numeroso, che non vuole perdersi quei pochi secondi magici che regala il Giro. Una visione fugace, come quella del misterioso motociclista messo in scena in Amarcord da Federico Fellini, a cui sarà dedicato l’arrivo a Rimini.
La situazione cambia all’uscita di Pesaro. Su una curva secca a 90°, subito dopo il ponte sul fiume Foglia, la maglia rosa cade e si ritrova con la bici inutilizzabile. Fa tutto da solo, forse per una distrazione o per una borraccia gettata sull’asfalto. Insieme a Nibali cadono o mettono piede a terra almeno una trentina di di corridori. Non ci sono conseguenze gravi per nessuno, perché in quel punto la velocità è bassa, ma è sufficiente a generare un disorientamento.
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