Liegi – La campagna delle classiche del Nord chiude i battenti con un’altra grande impresa: la Liegi-Bastogne-Liegi incorona Remco Evenepoel, che finalmente vive quella giornata sognata per tanto tempo, anzi pronosticata dai tanti che sin da junior avevano intravisto il suo talento. Evenepoel si è caricato sulle spalle il peso della corsa, soprattutto dopo che il leader della squadra, l’iridato Julian Alaphilippe era vittima di una terribile caduta, con conseguenze pesanti (frattura a costole e scapola e emopneumotorace, ma poteva finire molto peggio). Evenepoel ha vinto alla sua maniera, con una fuga solitaria, staccando di 48” i connazionali belgi Quinten Hermans (Intermarché Wanty Gobert) e Wout Van Aert (Jumbo Visma, curioso il fatto che a superarlo allo sprint sia stato un suo abituale avversario nel ciclocross).
Il portacolori della Quick Step Alpha Vynil aveva già vinto per distacco l’Amstel Gold Race nel 2019, ma è chiaro che questa è la vittoria della maturità, che chiude la bocca ai tanti che avevano messo in dubbio sia le sue chance di emergere che la sua serietà professionale. Oltretutto, la vittoria di Evenepoel rimette anche se in extremis il bilancio delle classiche sui binari giusti, premiando un campione vero dopo che le ultime gare (la Roubaix di Van Baarle, la Freccia Vallone di Teuns) avevano incoronato soprattutto gli specialisti di questo tipo di corse.
Analizzando il complesso delle classiche, emerge come quella invocazione al nuovo Merckx, nata all’indomani del trionfo di Pogacar alla Strade Bianche, si sia andata spegnendo. Lo sloveno, peraltro assente per un malanno a Liegi, chiude la sua campagna con solo quale piazzamento e un generale ridimensionamento, anche se negli occhi resta la sua maiuscola prestazione al Giro delle Fiandre. Il ciclismo attuale è permeato di tanti campioni, capaci di emergere un po’ dappertutto, ma anche di specialisti che sanno tirar fuori la giornata ideale nel periodo per loro principale, il che significa che in ogni gara regna la massima incertezza e questo è un bene. Olanda e Belgio hanno fatto i padroni del vapore, anche se qualche inserimento c’è stato, come quello del vecchio ma mai domo Kwatkowski all’Amstel Gold Race.
La campagna del nord ha inoltre sancito, una volta di più, la profonda crisi del ciclismo italiano. E’ vero, i suoi maggiori protagonisti erano stati tutti atterrati da una clamorosa serie di sfortune, permanenti come nel caso di Colbrelli (problematico rivederlo in bici dopo l’impianto di defibrillatore sottocutaneo) o comunque pesanti come per Trentin, Ballerini e altri. E’ anche vero però che di talenti veri per le classiche ne abbiamo pochi anche in proiezione futura e soprattutto hanno strettissimi spazi per emergere, inseriti in squadre WorldTour di matrice estera che non sono pronte a investire su di loro come leader, ma solo come buoni aiutanti. Produciamo professionisti in serie (siamo la nazione che ne sforna di più ogni anno), ma non abbiamo le strutture per farli emergere e questa situazione (peraltro stridente con la trionfale annata del ciclismo femminile) non sembra avere vie d’uscita, almeno a breve termine. Ora toccherà al Giro d’Italia, ma pensare che ci si affidi ancora agli ammirevoli Vincenzo Nibali e Domenico Pozzovivo non lascia spazio all’ottimismo.
Testo a cura di CicloZeman
Credit photo: Cycling News